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Torniamo con le nostre interviste effettive e cambiamo “meta”, dalla “SEO” al mondo del business e  elle start up in compagnia di Angelo Casagrande, oramai navigato advisor di start up e corporate di vario tipo. 

Caro Angelo, te che sei un startupper navigato, o meglio un consulente navigato in ambito startup… mi avevi detto nelle nostre conversazioni su Linkedin: va bene tutto purché faccia sistema. Quindi Start up school si o no? In questo momento sul blog di Effettoundici stiamo scrivendo un articolo a tal proposito e avere un tuo parere può essere utile… 😉

“Startup school” no, “programmi di pre-accelerazione” sì. È nell’approccio la diversità. E magari seguiti da qualcuno di competente.

Startupper si diventa o si nasce?… una domandina banale,  rispondicela

Si diventa. Chiunque in pressoché qualunque fase della vita può reinventarsi startupper. È il lavorare da soli o per sé stessi (il concetto di base dell’imprenditoria) che non è per tutti, molti non ne sono davvero in grado. Ma è una cosa che si scopre solo provandoci e provando a migliorarsi.

Fubles, Satispay, Snowit, Supermercato24… e altre, che in Italia hanno ottenuto dei risultati interessanti… possono essere il frutto di questo tipo di esperienze, o per arrivare a certi “stage” del tuo progetto in Italia è meglio essere degli ex Consulenti di Boston Consulting? A parte gli scherzi, secondo il tuo parere, queste strutture formative offrono contatti possibili “per spaccare” o in realtà chi affronta questi percorsi beneficia più del percorso formativo in sé e per sé più che del contatto con l’investitore che ti cambia la vita?

Un programma di pre-accelerazione dovrebbe essere un percorso prima di tutto personale e propedeutico alla messa in piedi in un secondo momento, più a freddo, di una startup “ragionata” e ragionevole, che possa poi seguire l’iter finanziario di ogni startup, magari passando per un programma di accelerazione vero e proprio. Aspettarsi che qualcuno uscito da una pre-accelerazione prenda “contatti con investitori” significherebbe che ha in mano qualcosa di interessante con dei primi numeri. Cosa abbastanza improbabile alla fine di un programma del genere.

Ti rigiro la domanda, in Italia, per avere certi contatti, forse un’esperienza lavorativa in società di consulenza è utile per poi startappare “duro”?

angelo casagrandeMah, avere avuto qualche tipo di esperienza, come in tutte le cose della vita, da un lato aiuta. Ma non credo ci sia un percorso principale da seguire. Io ho cominciato a lavorare da solo a 21 anni, e a 24 avevo un’agenzia digital (mantenuta per dieci lunghi anni). Ho fatto tutto senza alcuna esperienza: anzi, tutta l’esperienza che ho fatto tra l’agenzia e i miei altri mille esperimenti paralleli, l’ho fatta sbattendo forte la testa contro i problemi che incontravo sulla strada in ogni nuovo sfida.

Anzi, probabilmente proprio questa libertà (mischiata a una totale irresponsabilità che da ragazzino potevo permettermi) mi ha permesso di fare una tale quantità di esperienze e di avere così tanti diversi punti di vista in pochi anni. Probabilmente, se avessi lavorato nella maggior parte delle corporate più conosciute, passati i trent’anni avrei avuto una visione molto più ristretta sul campo, cosa che noto nella maggior parte dei miei coetanei (o anche più “senior”) quando si approcciano al contesto “startup”.

Ecco, sul tema “società di consulenza” nello specifico, secondo me non solo non è assolutamente necessario averlo come background, ma addirittura pericoloso: mediamente le società di consulenza, trascendendo la loro posizione geografica, danno alle persone un imprinting terrificante nel caso questi decidano di fare impresa oggi. Ho visto ex Deloitte, Accenture, BCG essere convinti di avere bene in testa come fare impresa nel ventunesimo secolo e poi schiantarsi fortissimo contro un muro con le loro slide, le loro elaborate firme nelle loro mail scritte come un’epistola tra sovrani rinascimentali in cui a momenti ti danno del Voi, i loro intricati excel usati anche solo per fare una checklist di cose da fare.

La consulenza è una cosa. Fare impresa (prima che startup) è un’altra.

Ho letto tutti i tuoi 3 libri, sempre molto mirati, precisi e appassionati… non parli mai di PMI, mai, solo di start up… ma poi vieni da un’esperienza di agenzia, la tua. Cosa consigliamo ai neoimprenditori, in Italia, di abbandonare il concetto di PMI, o c’è ancora spazio al di là di tutto? Nel senso, aprire un tabacchino o un bar non vieta poi a nessuno  di fare una grande catena super performante (molto stile anni’80/90 alla McDonald) non credi?

Al di là della confusione generale sul termine PMI (Piccole e Medie Imprese, in cui salvo rari casi non rientrano pizzerie, bar, club etc., che in genere per numeri sono considerati micro-business e non piccole imprese), PMI è solo l’identificazione della dimensione dell’azienda, data per fatturato e dipendenti. Non è la natura di quella azienda.

Se apro un’impresa si presume che l’ambizione sia quella di crescere anno su anno, trimestre su trimestre. L’impresa per definizione deve crescere. Per crescere più rapidamente, è probabile che l’azienda avrà bisogno di fondi da bruciare. La velocità di crescita è ciò che distingue il percorso finanziario tra una startup e un’azienda.

Sull’aprire un bar e poi farne una catena… Mah. Se il proprietario del bar è in grado di reperire fondi rapidamente per aprire più punti e continuare a scalare la sua crescita, perché no? Però a quel punto si rientra nel percorso finanziario di cui parlavo prima: cercare investitori che mettano capitale a rischio nella speranza di fare soldi dai soldi.

Sei ossessionato dalla crescita, meno male.. ok,  lo si deduce dai tuoi libri, te l’avevo già chiesta questa cosa che è poi è anche una delle mie ossessioni: proprio tutti ma tutti tutti i canali vanno sfruttati per l’acquisizione del Cliente? Non pensi che se ne può sfruttare anche uno solo e farlo bene? Mi dirai, sì purché soddisfi sia la domanda consapevole che quella latente del potenziale acquirente… o comunque dimmi tu, sei tu l’intervistato 😉

Mah, io questa divisione tra domanda consapevole e domanda latente non ce l’ho ben chiara dentro di me. Il concetto è un altro: se esistono diversi canali che mi possono essere utili a portare clienti, perché mai non dovrei usarli limitandomi a un unico canale? Che senso ha? Sarebbe come un commerciale che perde un contratto da un milione perché “i clienti volevano sentirci su Hangout, ma io faccio solo appuntamenti fisici e devo essere io a contattarli”.

Ultima domandina, pubblichi con KDP… che ne pensi di questi modelli di business teleguidati da grandi aziende, Amazon non ha bisogno di presentazioni… che ne pensi di Amazon FBA, Amazon Dropshipping e Amazon Affiliation? Tutto questo fermento, questo gran dire.. che facciamo, partiamo anche noi con qualche bel business made by Amazon?

Non so, non sto molto dietro alle mode. Ieri erano tutti digital strategist, oggi sono tutti affiliate marketers dei miei stivali, in mezzo ci sono quelli del drop-shipping e quelli che dicono che ormai il drop-shipping è morto e che bisogna fare drop-surfing. Non so, non mi interessa molto, ho altro da fare.

KDP per me è uno strumento: mi serve per pubblicare un libro, anche in versione cartacea, senza dover passare per una terza parte e senza dover spendere una lira, prendendo comunque più royalties che pubblicando con un editore (editore che comunque non mi ha mai chiesto di pubblicarmi, quindi il problema non si pone). E quello dei libri non è un business, è più uno sfogo mischiato a un hobby (creare “il prodotto” e poi cercare di venderlo) mischiato alle mie deformazioni professionali che ormai mi dominano pure quando vado al bar la sera.